La Shocking Experience, non c’è mai fine al peggio… #1

Poiché il nostro cervello è impostato per ottenere il risultato in maniera veloce, sicuramente avrai letto nel titolo “Shopping experience”. E, in effetti, è di questo che parlo in questo breve testo e nei prossimi.

Quando ho deciso di iniziare il mio blog, l’ho fatto come una sfida nei confronti di me stessa. E’ stata la decisione di mettere da parte la mia continua procrastinazione a causa della convinzione che su materie come vendita, marketing e, ora, “Esperienza di acquisto del consumatore” sia stato scritto tanto, troppo in alcuni casi, da chiunque senza portare particolare valore aggiunto; e che il mio contributo non potesse far la differenza.

In realtà il Web permette a chiunque di creare il proprio spazio e dire la sua, senza avere aspirazioni di onniscienza ma sicuramente potendo contribuire a tanta teoria ben fatta dagli psicologi del lavoro e del marketing, concretizzando come possano essere distorte le regole da loro diffuse.

In maniera semiseria, riflettere come la visione che si ha di sé stessi (o non visione, intesa come mancanza di autoconsapevolezza) possa produrre delle aberrazioni della migliore teoria delle tecniche di vendita e del concetto di Shopping Experience.

Ho fatto esperienza di vendita assistita, vendita diretta, networking, libero servizio, e di quella che io chiamavo “informazione a sviluppo delle competenze del cliente” (insegnagli come fare e comprerà da te)

Ho ascoltato tante cose.

Ne ho insegnate tante e corrette una quantità uguale.

Tante ne ho imparate e tante ne ho dovute dimenticare.

Altre le ho volute dimenticare perchè non facevano per me.

E….comunque, l’essere umano riesce ancora a sorprendermi con le assurdità che riesce a creare e a esprimere.

Le scienze ci hanno spiegato molto bene che non siamo esseri razionali ma logici: ad ogni causa segue un effetto. Le scienze ci hanno confermato che la realtà immaginata e creata dalla nostra mente è l’unica vera e non ce n’è una oggettiva con una sua identità univoca. Lo sforzo, quindi, dovrebbe indirizzarsi verso il mettere in comune le differenti visioni per individuare i punti comuni e creare un terreno di condivisione o di confronto costruttivo.

Quando si parla di vendita e di rapporto diretto col cliente, come può essere realizzato questo?

Nella letteratura sulla vendita c’è chi ha focalizzato tutto sul linguaggio; chi sulle tecniche psicologiche di persuasione; chi non va tanto per il sottile e ritiene che il risultato sia l’unica cosa importante e attacca il cliente, anche a male parole,con mezze informazioni, puntando sulla confusione dei mille dati, per farlo sentire inadeguato, in stato di soggezione e obbligarlo a comprare ciò che gli viene offerto.

Oggi, condivido l’idea che, quando si vende non si vende un  prodotto, ci si occupa di una persona, delle sue necessità, dei suoi progetti, dei suoi desideri. Conosci una persona e offri te stesso come persona. Non è una idea nuova ma si arricchisce di quella che è la gestione intelligente delle emozioni.

Nei corsi più diffusi, si insegna come usare le parole, cosa dire per dire bene e in maniera chiara ed efficace. Si spiegano alcuni meccanismi della mente umana.

Tuttavia le “creazioni” di certi venditori che si sono formati 30 e più anni fa e che sono orgogliosi di avere così tanta esperienza, per di più indiscutibile perché “hanno sempre fatto così” riesce a lasciarmi senza parole. E con me è davvero difficile….

Per esempio:

Dire ad un cliente “ e bravo il bastardo, così paga lei (LEI  di sesso femminile)” a quale regola di persuasione si ispira?

La SIMPATIA?

Una strana autoconvinzione di essere entrati in tale sintonia da poter usare certi appellativi ?

Il silenzio del cliente a tale commento è un messaggio chiaro o merita altre spiegazioni?

Il cliente sarà stato capace di distinguere fra la persona che ha pronunciato tale frase rispetto all’azienda che questa persona stava rappresentando in quel momento?

Questo esempio è fin troppo facile da commentare, quantomeno per la maleducazione, mai insegnata in alcun corso di vendita (Salvo, forse, nei corsi alla Frank Merenda?! Non saprei rispondere, non ne ho mai frequentato uno, perché non è questo lo stile che può allinearsi con una idea di creazione di una esperienza di vendita piacevole).

Per renderlo più utile, proviamo a guardarlo da un p.d. v. diverso.

Il suddetto venditore che visione ha di sé stesso? Pensa di essere l’azienda? Sa di avere delle responsabilità in termini di comunicazione dello stile dell’azienda?

Che cosa gli fa pensare di poter approcciare con tali termini un estraneo che ha visto per, esagerando, 3 volte?

E’ una semplice questione di mancanza di cultura?

O possiamo farci delle domande sullo stato emotivo del venditore per usare un esempio, a dir poco di profondo squallore, per comprendere quanto lo sviluppo dell’intelligenza emotiva sia diventata fondamentale anche nella vendita In store?

Se continuiamo a far finta di niente, l’esperienza del cliente sarà una Shopping Experience…..

SCIOCCANTE

Quali e quante emozioni sarà stato capace di provocare questo venditore provetto?

La shocking experience sarà stata tale che al primo commento positivo sul suo acquisto, il cliente si sentirà orgoglioso di accettarlo e di parlare bene della persona e dell’azienda, creando un passaparola positivo ?

O, piuttosto, preferirà sorvolare. Rendendo l’atto di vendita un singolo atto che ha portato risultato momentaneo nelle casse dell’azienda e “premiato” solo il venditore?

Questi solo alcuni degli Insigths che si possono estrapolare da un brevissimo vissuto, di 1 minuto.

Io sono una persona che ama profondamente l’idea di “Shopping Experience”, mediamente tecnologica, facilmente affascinabile con effetti speciali e Story telling.

Resto dell’idea, tuttavia, che la migliore esperienza che puoi far vivere ad una persona, sia quella umana.